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"SA JOCÀNU ARU CURRÌUNU". REGIONE, PROVINCIA E COMUNE

"Sa jocànu a ru curriu": nel teatrino della politica, mi piace richiamare i nostri antichi detti calabresi, e questo sembra tipico...

sabato 15 febbraio 2025

AEROPORTO CROTONE: UNA CONTRADDIZIONE CHE URGE CHIAREZZA SUI CANADAIR

L'aeroporto di Crotone, simbolo di un territorio costantemente in bilico,, tradito tra promesse e realtà, si trova nuovamente al centro di un dibattito. Le recenti dichiarazioni dell’amministrazione degli aeroporti calabresi, in particolare quelle relative ai dati di gennaio 2025, sollevano più di un interrogativo. Con 17.392 passeggeri transitati e un presunto incremento del +50%, l'aeroporto sembra finalmente dare segnali di vita. Ma a quale prezzo?

Mentre Lamezia Terme registra un più modesto +11%, i numeri di Crotone vengono celebrati come un trionfo. Eppure, in un territorio storicamente emarginato, privo di infrastrutture adeguate – strade inefficienti, un porto trascurato, e una rete ferroviaria obsoleta – ci si aspetterebbe un piano strategico per rilanciare il sistema. Invece, l'annuncio di una nuova base Canadair sembra minacciare questa fragile rinascita.

Siamo di fronte a una scelta che stona con le necessità del territorio. I Canadair, sebbene utili in caso di emergenze, rischiano di compromettere le rotte passeggeri, gettando un'ombra inquietante sul futuro dell'aeroporto. Non ci è dato sapere se esista un progetto concreto per lo sviluppo della struttura; ciò che è chiaro è che l’attuale amministrazione aeroportuale non ha fornito rassicurazioni.

Il direttore della Sacal non ha fatto altro che alimentare le nostre preoccupazioni: da una parte ci racconta di una crescita, dall’altra ci avverte che Crotone, con la sua scarsa attività volativa, è stata scelta per la sua "ideale" condizione per ospitare attività complementari. È un controsenso che non possiamo ignorare.

domenica 9 febbraio 2025

SPOPOLAMENTO: IN 10 ANNI, 8.000 GIOVANI CROTONESI SONO FUGGITI. UNA PERDITA DEMOGRAFICA, MA ANCHE DI STORIA E CULTURA

Lo spopolamento continua a colpire duramente il Sud Italia, e in particolare Crotone. Secondo i dati del Centro studi Cgia, negli ultimi dieci anni la città pitagorica ha perso oltre 8.000 giovani tra i 15 e i 34 anni. In tutto il Meridione, la stessa fascia d’età ha visto un crollo di 750.000 persone, pari al 5,8%. Questi numeri sono agghiaccianti eppure, incredibilmente, nessun partito ha inserito seriamente questo grave problema nell’agenda politica.

Non è di meno nell'entroterra, dove si accentua ancora di più. Lo spopolamento non è solo un fenomeno demografico; è una lenta e inesorabile sofferenza che si insinua nel cuore delle nostre comunità. Ogni abitante che lascia un borgo, ogni casa che si chiude, non è solo una perdita numerica, ma un pezzo della nostra storia che svanisce per sempre. Le strade, un tempo animate da risate e storie, si riempiono di silenzio, mentre le piazze, testimoni di incontri e celebrazioni, diventano eco di un passato che sembra sempre più lontano.

Come amministratore della città di Crotone, ho sollevato questa drammatica situazione demografica in Consiglio comunale poco dopo il nostro insediamento. Purtroppo, fino ad oggi, si continua a non contrastare il fenomeno, in Calabria non è stata attivata nessuna misura. Certo, non possiamo aspettarci che sia il comune da solo a risolvere una questione così complessa, ma è fondamentale portare il problema all'attenzione dei vertici nazionali. Finora, i governi hanno fatto ben poco. Mi auguro che la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che definisce il suo governo come quello dei patrioti, possa finalmente prendere provvedimenti.

I dati sono allarmanti: il numero dei giovani in Italia è in caduta libera. La crisi demografica colpisce anche molti paesi dell’Unione Europea, ma in Italia la situazione è davvero critica. È tempo di agire, di non restare in silenzio di fronte a un futuro che si sta sgretolando. Crotone merita di tornare a essere un luogo di speranza e opportunità per i suoi giovani. Il mio è un appello alla coscienza, un invito a non voltare le spalle a queste terre, un tempo faro del mondo! Un monito per non dimenticare, ma a rinnovare e valorizzare la sua   bellezza e la sua storia.

sabato 1 febbraio 2025

"U PANI I CASA" TRA TRADIZIONE E SACRALITÀ

È sempre un gesto di amore ricevere un pane fatto in casa, “u pani i casa”. Un tempo, il panificio non esisteva; ogni famiglia si dedicava a questo rito, non sempre nella propria dimora, poiché un forno richiede spazio e cura. Nelle campagne, le famiglie costruivano il loro "u furnu, u furniciaddru", un luogo sacro dove il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'aria fresca della natura.

In paese, i forni si trovavano sparsi lungo la strada, e tra tutti, quello a frasche era il re indiscusso. Da lì usciva il miglior pane, un autentico tesoro che si accompagnava a un'esclamazione che risuonava: “Chistu è fattu cu ru furnu a fraschi”. Le frasche, raccolte con cura dopo la potatura degli ulivi, diventavano il carburante di questo rito. A Scandale, durante la festa di San Giuseppe, le famiglie si riunivano per bruciare le frasche nella vigilia, creando il cosiddetto "u luminari".

Fare il pane era un giorno di festa, un momento di unione per famiglie numerose che avevano bisogno di tanti pani. Il pane veniva conservato su una tavola appesa in alto, dove trovavano posto anche le prelibatezze del maiale: “sazizzi, suppressate, capicoddra, lardu, panzajjia”. Entrare nella casa di un contadino di un tempo era come essere avvolti da una coperta di profumi e tradizioni che raccontavano storie di vita e di sudore.

“U pani”, simbolo di lavoro e sacralità, meritava un posto d'onore sulla tavola, mai rovesciato. Ogni pagnotta racchiudeva valori simbolici che andavano oltre il semplice nutrimento del corpo; era un appagamento per lo spirito. Il pane rappresentava il frutto di una giornata di fatica, un riscatto dalla fame, un modo per saziare i figli e un segno di comunione con parenti e vicini. Nella civiltà contadina, il pane era il simbolo per eccellenza di materia e spirito. Peccato che ora questa tradizione si è quasi persa, per fortuna, che in alcune famiglie della vicina #Roccabernarda c'è ancora chi ce la fa vivere.

E per devozione a Sant’Antonio, veniva realizzato “u paniciaddru i Sant’Antuani”, una tradizione che portava gioia e condivisione. Piccole pagnotte venivano donate a tutti: amici, parenti e vicini, un gesto che univa le comunità e riempiva i cuori di gratitudine. In un pezzo di pane c'era l'essenza della vita, il calore di un abbraccio, il ricordo di una storia che continua a vivere in ogni morso. Ed io ringrazio la famiglia che giorni fa mi ha fatto dono di un pezzo di storia e sacralità.