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HO VISTO SOLO QUELLI...

Sì, ho visto solo quelli ... i soliti,  quelli sempre presenti quando si alza la voce per difendere la città, per il futuro dei nostri figli...

domenica 29 dicembre 2024

QUANTU È BELLU STU PAJISI". LACRIME DAL CUORE

Una canzone che non è solo melodia, ma un viaggio emozionale che affonda le radici nel cuore della Calabria. È un inno d’amore per una terra che, anche da lontano, continua a pulsare dentro di noi. Luigi Bomparola, accompagnato dalla maestria del nostro Gianni Carvelli alla chitarra e Giuseppe Carvelli alla fisarmonica, ha saputo catturare l'essenza di Scandale e dei suoi abitanti, di quelle storie di emigrati di chi parte e di chi rimane, di chi ha lasciato un pezzo di sé in questo angolo di mondo.

Le note si intrecciano con i ricordi, evocando immagini di strade, piazze e vie cittadine (mancano quelle storiche), di paesaggi mozzafiato e di volti. Ogni accordo racconta di un legame profondo, un amore incondizionato per le tradizioni, per la cultura e per la comunità che, nonostante la distanza, continua a vivere nel cuore di chi ha scelto di emigrare. 

La canzone di Luigi prettamente calabrese ci invita a riflettere su ciò che significa appartenere a un luogo, su come la distanza possa amplificare il desiderio di tornare indietro, di ritrovare le proprie radici, di riabbracciare la propria gente.

In ogni nota, in ogni parola, c'è una lacrima, l’amore per la Calabria, per la sua Scandale. Un canto di nostalgia, di speranza e di identità.

Complimenti Luigi, avanti così!

https://youtu.be/fZCiBV-19Xk?si=1QBybQV4L5aByvoQ

mercoledì 18 dicembre 2024

CROTONE TRA ENI, SPOPOLAMENTO E TARALLUCCI E VINO

Il fenomeno dello spopolamento è una ferita aperta che attraversa l'Italia, ma che nel Sud, e in particolare in Calabria, assume contorni drammatici. Crotone, in questo quadro, è un esempio emblematico di un territorio che sta soffrendo da sempre. I dati che ho estrapolato da un post dell’ingegnere Antonio Bevilacqua sono veramente preoccupanti.

Una storia di abbandono e desolazione, dove i centri si svuotano e le case, immobili e capannoni restano vuoti, simboli di una vita che un tempo pulsava di vibrante energia.

Le motivazioni di questo preoccupante calo demografico sono note, eppure le classi politiche sembrano essersi dimenticate di noi, tutti strabici delle nostre necessità e delle nostre speranze. Nel gennaio del 2022, ho presentato una #mozione al Consiglio comunale di Crotone, un grido d'allerta contro lo spopolamento. Ma da allora, nulla è cambiato. La politica continua a concentrarsi su apparenti successi e manifestazioni, tra inciuci e deragliamenti elettorali, dimenticando le questioni serie. È fondamentale che ci si impegni in proposte concrete, che non si accontenti di un accordo da quattro soldi con chi ci inquina da decenni, come l'ENI, ma che si doveva puntare ad una vera bonifica industriale; obbligare la multinazionale, affinché si gettassero le basi per uno sviluppo reale e sostenibile

Crotone sta vivendo un dramma ineluttabile. Lo spopolamento non è solo un numero che scende, ma è la fuga da un territorio ricco di storia, cultura e risorse, sempre più impoverito da infrastrutture che non permettono una vita dignitosa. Siamo isolati, privati di una rete ferroviaria decente, e ogni giorno che passa ci allontana ulteriormente da un futuro migliore. La mia mozione avrebbe dovuto accendere il dibattito politico, stimolare un tavolo di lavoro con i sindaci dei comuni interessati e coinvolgere il Governo in un disegno di legge per il Crotonese, ma invece ci ritroviamo a parlare di accordi che si dissolvono nel nulla, come spesso accade: "a tarallucci e vino".

È tempo di risvegliare le coscienze e di lottare insieme per il nostro futuro. Non possiamo più permettere che la nostra terra venga svenduta per un piatto di lenticchie. Crotone merita di essere ascoltata, merita di tornare a vivere. E noi, come comunità, dobbiamo essere pronti a lottare per essa.

sabato 14 dicembre 2024

"A ZZITA"

 Cos’era un tempo la “zzita”? La “zzita”, da zitella, fidanzata di un ragazzo (zzitu), ma il termine al femminile significava anche il matrimonio, con tutti i preparativi e la festa, un momento di pura magia e nello stesso tempo qualcosa di molto profondo: non era solo un rito, ma una celebrazione vibrante della vita stessa. Ogni sorriso, ogni lacrima di gioia, ogni abbraccio sincero raccontava una storia di speranza e di amore, tessendo insieme i legami nella propria comunità che, pur nella sua povertà, brillava di una ricchezza incommensurabile.

Ricordo benissimo quei momenti, che erano in uso fino a tutti gli anni '80 e all'inizio degli anni '90. Per quel giorno speciale, non c’erano solo due anime che si univano in matrimonio, ma un intero paese festeggiava l’amore, la speranza e il futuro. In ogni fase, ogni sguardo, ogni parola, ogni gesto era intriso di un significato profondo, fino al ricordo  indelebile che si sarebbe scolpito nei cuori di tutti presenti agli eventi.

Dopo il primo "Sì" un ragazzo e una ragazza diventavano “zziti”; poi doveva esserci l’approvazione dei genitori, altrimenti si trovava un escamotage, cioè la cosiddetta “fujitina”, “sin d’i hannu fujuti”, mediante la quale si scappava da casa, magari verso un altro paese, si stava insieme e si consumava tutto al fine di ottenere l’approvazione dei genitori, in modo da poter celebrare subito il matrimonio; altrimenti, era scandalo, era “brigogna”. 

Ma ritorniamo alla prima fase: per ottenere l’accettazione pacifica dei genitori doveva avvenire il "fidanzamento in casa", che consisteva nello scambio del primo anello offerto dai genitori, ovvero nell'accettazione delle famiglie della futura unione matrimoniale, seguita poi da una festa in grande nella casa della “zzita”. 

Il coinvolgimento delle famiglie etichettava, da quel momento, i giovani come "ziti". Oggi potrebbe sembrare molto strano, ma questa antica tradizione, ormai del tutto in disuso, rappresentava la contrattazione morale per il futuro matrimonio, firmata dai genitori e con l'approvazione degli interi nuclei familiari, che concludevano la prima fase con "hannu cunghjiudùtu": era un’accettazione, ma non una promessa. La promessa vera e propria si faceva quando i ragazzi si amalgamavano fortemente e si erano ben conosciuti per dichiararsi ufficialmente mediante il cosiddetto "giuramentu". Un altro sigillo veniva impresso dal compare d'anello, "a cummara e u cumpari", due figure importanti per la coppia. Oltre alla consegna dell'anello, rivestivano un ruolo fondamentale, su cui veniva riposta tutta la fiducia; erano anche il padrino e la madrina del primo genito. Durante il "giuramentu", le due figure erano accanto agli "ziti" e insieme si recavano in municipio per aprire la strada al matrimonio. Era la giornata più importante per i fidanzati, che si svolgeva, come da tradizione, nella casa della sposa. Le famiglie erano diventate strette e legate tra loro da profonda stima e rispetto. A questo evento, l’invito era esteso anche oltre le famiglie, e tra "pastetti, liquore e amaru, biccherini e cugghjianddri" non mancava il primo banchetto matrimoniale con tutti i prodotti prelibati fatti in casa: "alivi, sazizzi, suppressati, vrascioli e pasta chjina”.

Poi arrivavano i giorni del matrimonio, “a zita” si "maritava" e u "zitu" si "nzurava". Una settimana prima del matrimonio, le mamme dei ragazzi avevano ruoli importanti: “paravanu a casa”, praticamente arredavano e fornivano tutto ciò che serviva per la nuova casa, soprattutto “l’esposizione del corredo”, sotto il rigido controllo della suocera, al fine di verificare la giusta quantità di dote, che in passato pare fosse anche pattuita.

Si preparava la camera nuziale, che tutti i parenti erano chiamati a visitare; ognuno di loro concedeva offerte in denaro per augurare ricchezza e prosperità alla nuova famiglia. Durante la notte non era esclusa la “serenata” all’innamorata, durante la quale si suonavano canti di un tempo, brani e filastrocche popolari, che esprimevano i sentimenti amorosi. Per l’occasione partecipavano amici, conoscenti e vicini.

La mattina del matrimonio si presentava come un sogno che prendeva forma, avvolta in un'atmosfera di gioia e aspettativa. La sposa, incantevole nel suo abito bianco: il velo leggero danzava delicatamente al vento, mentre i pizzi e i merletti raccontavano storie di un amore di altri tempi. Lo sposo, elegante nel suo vestito scuro, la osservava con occhi pieni di ammirazione, pronto a prendere parte a quel sacramento che univa le loro vite per sempre. E’ arrivato il giorno “ U Jiuarnu”!

Il corteo nuziale si snodava per le strade, un paese in festa! Emozioni e sorrisi, quasi esclusivamente a piedi, come a voler rendere sacro ogni passo verso l’altare. La gente si affacciava dalle finestre e dai balconi, richiamata dalla magia del momento. “Sta passandu a zita!” si udiva in coro, come un canto di festa, mentre mani generose lanciavano riso e confetti, anche tante monetine, piccoli segni di buon augurio. I bambini, con gli occhi brillanti di meraviglia, si affannavano a raccoglierli, conservando nelle tasche i soldini e custodendo il resto per il giorno in cui si sarebbe celebrato un altro matrimonio. In quel giorno, la semplicità diventava bellezza, e la condivisione di momenti di pura felicità illuminava anche gli angoli più bui delle loro vite.

Dopo il rito sacro nelle splendide chiese addobbate per l’occasione, il corteo si dirigeva presso i locali per la consumazione della grande festa. Il cuore pulsava di vita e di tradizione. Lì, i tavoli imbanditi di leccornie davano vita al cosiddetto “zitaggiu”, Tra sapori e profumi si raccontava la storia di una comunità unita. Ogni piatto era un regalo, un gesto d'amore che si tramandava di generazione in generazione,  un’occasione unica, un festival di emozioni che risuonava nel cuore di tutti, unendo anime diverse in un coro di risate e danze, in un abbraccio collettivo che superava ogni tutte le barriere.

giovedì 12 dicembre 2024

BONIFICA INDUSTRIALE CROTONE COME UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA

 E Così il Decreto Legge del 17 ottobre scorso (n. 153) ha trovato il suo compimento: è diventato Legge dello Stato. Un atto che prometterebbe di tutelare l’ambiente, di razionalizzare i procedimenti di valutazione e autorizzazione ambientale, di promuovere e di attuare interventi vitali per la bonifica di siti contaminati, pertanto dovrebbe segnare l'inizio della bonifica per il Sito di Interesse Nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara.

Ma, ahimè, il condizionale è d'obbligo. In questi mesi, il caos politico ha regnato sovrano, alimentato da una falsa politica che ha tradito le aspettative della comunità. I rappresentanti delle istituzioni, invece di illuminare il cammino, hanno scelto di intorbidire le acque, lasciando nel buio le vere intenzioni. È una vergogna senza precedenti: ci chiediamo dove saranno depositati i rifiuti industriali, se dentro o fuori la regione, in “situ” o accanto a un'altra discarica. In questo silenzio assordante, la politica tace, mentre si celebra il Natale tra luci e festicciole, lasciando i cittadini nell’ombra, privi di risposte, ma il ben servito non mancherà neanche quest'anno!

La bonifica avverrà, ma in che modo? Nessuno dovrà sapere. Guai a chi si opporrà, perché questa volta l'esercito sarà pronto a intervenire, a imporre il suo volere. Sono queste le dichiarazioni del Generale Errigo. Più che una bonifica mi sembra una dichiarazione di guerra per un popolo che ha semplicemente osato esprimere la propria opinione. E se questo popolo decidesse di scendere in piazza, cosa ci aspettiamo? I bulldozer a calpestare le speranze, le voci soffocate sotto il rumore dei lanciarazzi? 

Siamo a un bivio, e la posta in gioco è alta: il nostro futuro, il nostro ambiente, la nostra dignità. Non possiamo permettere che la paura zittisca le nostre voci. È tempo di lottare, di far sentire il nostro grido, di reclamare il diritto a vivere in un mondo sano e giusto. Non siamo solo spettatori passivi di questa storia; siamo parte attiva di un cambiamento necessario e urgente.

La battaglia per la verità e la giustizia dovrà pur iniziare, ma questa volta  tenendo alla larga i "quaquaraqua" e falsi rappresentanti del popolo.

domenica 1 dicembre 2024

"NA SIGARETTA E NU BICCHIJRI I VINU"

Trovo questa foto e mi mi viene sibito in mente il tempo di una volta, circa 50 anni fa, quando ero bambino. In paese, le strade sembravano un mercato aperto; già al mattino con qualsiasi mezzo, soprattutto i motocarri (le Api), si sentivano le voci dei fruttivendoli locali, che vendevano frutta e verdura fresche di stagione. Non potevi non svegliarti: le grida dei venditori erano esuberanti, e c'erano anche quelli che utilizzavano i microfoni. 

Nelle ore in cui tutti erano svegli, intorno alle 8, le strade erano affollate da tanti ragazzi e bambini che uscivano a gruppi (allora eravamo in tanti) per andare a scuola, una moltitudine di persone prese da ogni impegno. 

Incominciavano ad arrivare i commercianti "mercanti" di tessuti, di lino in particolare, rigorosamente fatti a mano; quasi sempre si trattava di corredi. Tra di loro, molte erano donne che portavano le merci financo sopra il capo; mostrano i preziosi manufatti alle mamme per "maritare" le proprie zitelle. Ma non mancavano gli artigiani: a Scandale venivano tanti da Petilia Policastro e Mesoraca. Da quei paesi erano maestri dell'artigianato: "scarpari e ombrellari, furgiurari, quadarari e gumbularu", e di tanto in tanto anche l'orologiaru, precisamente " l'urifici". Insomma, un mondo diverso, dove tutto si svolgeva per le via in totale in armonia: si acquistava e si vendeva, si riparavano gli oggetti.

In tanti chiedevono l" elemosina " a limuasina", gente senza sussidio, avevano dei disagi fisici dovuti a diverse cause: infermità e malformazioni per carenze di cure, mutilazioni da guerre, e non mancavano i ciechi, che venivano chiamati "cicàti", termine usato per indicare tutti quei poveri e sfortunati del paese. Erano ai margini della società e, nello stesso tempo, mostravano la costanza di essere semplici e genuini.

Soffrivano molto e spesso venivano maltrattati, ma avevano una chiara identità. In quel contesto, a volte, alcuni di loro ricevevano anche amore. Nonostante le difficoltà, si mostravano servizievoli, pronti ad aiutare per pochi spiccioli. La loro felicità si trovava nei momenti in cui venivano accolti, bastava offrirgli "na sigaretta e nu bicchijri i vinu" per farli sentire a casa, utili e graditi.