Post in evidenza

ATTORNO AL FOCOLARE UN TEMPO TUTTE LE MAGIE, MA ANCHE MISTERO.... VI RACCONTO!

"C’era ’na vota, cu’ami si dicìssa…” Era così che, nel nostro paese, si dava inizio a una favola, "na fravula". Non so se anc...

giovedì 20 novembre 2025

ATTORNO AL FOCOLARE UN TEMPO TUTTE LE MAGIE, MA ANCHE MISTERO.... VI RACCONTO!

"C’era ’na vota, cu’ami si dicìssa…”

Era così che, nel nostro paese, si dava inizio a una favola, "na fravula". Non so se anche nelle altre comunità calabresi si usasse la stessa espressione, ma da noi bastava pronunciarla per compiere una piccola magia: riunire tutta la famiglia, dai bambini più piccoli ai nonni.  Succedeva quasi sempre di sera, all’imbrunire, quando il buio calava sulle case e fuori non c’era più motivo di trattenersi. Le strade si svuotavano e la vita si spostava dentro, attorno a quel piccolo mondo domestico che prendeva forma intorno al braciere, “a vrascera” : un semplice contenitore di metallo pieno di carbone ardente, nato per scaldare le stanze lontane dal focolare, ma che finiva per scaldare molto di più i cuori che le mani.

In quelle sere fredde, soprattutto quando il maltempo imperversava e i tuoni si facevano sentire forte, interrompendo il silenzio con colpi improvvisi, ritrovarsi attorno alla brace diventava un rito. Ogni tuono era una pausa, un istante in cui tutti restavamo fermi, vicini, quasi a cercare protezione l’uno nell’altro, sì, perché spesso il lampo provocava l’interruzione dell’energia elettrica e si resta totalmente al buio, la luce si produceva con le fiamma della legna o si accendevano le candele di cera che allora non mancavano nelle case. E mentre le braci crepitavano piano, si preparavano i ceci da arrostire nel coppo: un profumo semplice, antico, che già da solo bastava a far sentire che una storia stava per cominciare.

Poi arrivava la frase che apriva le porte al meraviglioso: “C’era ’na vota cu’ami si dicìssa…” E insieme alla frase, iniziava anche il rito di mangiare quei ceci caldi, come oggi si mangerebbe il pop corn al cinema. In fondo, era proprio questo: il nostro piccolo cinema di casa, prima ancora che le sale cinematografiche arrivassero nei paesi e cambiassero quelle abitudini.

Le favole duravano poco. Ma non quelle di mio padre. Lui le faceva durare finché non ci addormentavamo tutti, uno dopo l’altro, come candele che si spengono piano. Era il suo modo dolce e paziente di accompagnarci nella notte. Mio padre non raccontava soltanto: interpretava.

Con la sua voce, la mimica, i gesti, riusciva a farci vivere ogni scena come se fossimo dentro un film. Non si limitava a narrare la trama: ce la mostrava. E noi la vedevamo davvero. Ma c’era ancora di più. La favola doveva sempre terminare con quelle storie che un po’ ci inquietavano, le famose “chiri chi fannu spagnàri”. Erano racconti che, dicevano, erano accaduti davvero, di anime del purgatorio che si ripresentavano. E noi bambini, anche i più piccoli, li aspettavamo con un misto di timore e desiderio, sapendo che ci avrebbero fatto stringere un po’ di più gli uni agli altri, soprattutto quando si rimaneva letteralmente a lume di candela, nessuno andava a letto da solo, si decideva insieme, come una piccola squadra nella notte.

E così, attorno al braciere o al focolare, ci lasciavamo prendere da quelle paure buone, quelle che alla fine ti consumano piano piano e ti lasciano cadere nel sonno. Nelle famiglie numerose, la favola era un rituale. E soprattutto, era il più dolce dei sonniferi.

martedì 11 novembre 2025

Ecco perché il sindaco Voce non doveva ritirare le dimissioni

 


Mi rivolgo a quei cittadini e politici che amano definirsi “paladini della cultura”, custodi di un’etica laica o cristiana, ma che oggi tacciono. O peggio, sostengono l’indifendibile. Davvero dobbiamo accettare che un sindaco, in pieno Consiglio comunale, aggredisca verbalmente delle consigliere, urli contro chi lo contesta, in aula o tra il pubblico, e arrivi perfino a presentarsi sui luoghi di lavoro dei consiglieri per azzittirli?Con il ritiro delle dimissioni, Crotone e la sua classe politica sdoganano l’inaccettabile. Si afferma che l’arroganza è tollerabile, che la violenza verbale, e ormai anche quella fisica, può diventare linguaggio istituzionale. È un segnale devastante. Solo per questi comportamenti, Voce andava escluso dalla politica, non accolto con applausi e abbracci. Una città che non tutti si indignano. Nessuna presa di distanza da quei consiglieri che in un batter d'occhio hanno costruito una nuova maggioranza, nessuna voce dal mondo culturale. Anzi, lo si incoraggia a restare. Perché?

Davvero si crede che Voce sia l’unico in grado di risollevare la città? O dietro questa difesa compatta si nascondono interessi meno nobili? Il tradimento di uno spirito civico.  Il “civico” Voce ha tradito lo spirito con cui si era presentato ai crotonesi. Aveva giurato che non si sarebbe mai piegato ai partiti, tanto meno ai sostenitori dell’onorevole Sculco. Eppure oggi, dopo aver cambiato schieramento come si cambia giacca, si ritrova proprio con loro nella sua “nuova” maggioranza. Dal giorno dell’insediamento, il suo progetto politico si è sgretolato. Il movimento civico Tesoro Calabria, fondato da Tansi e portato come bandiera elettorale a Crotone , si è dissolto in pochi mesi, lasciando solo macerie e delusione. Non è forse questo un tradimento politico e morale verso chi aveva creduto in lui?

Perché Voce non doveva ritirare le dimissioni? Non per amore di Crotone, ma perché oggi incarna tutto ciò che la città non dovrebbe più essere. Un sindaco che cambia bandiera, che distrugge la propria creatura politica, che urla invece di dialogare, che confonde la guida con il comando… e che arriva persino alle mani con i suoi. Surreale è dire poco. C’è chi prova a giustificarlo: “Sì, non ha modi giusti ma ha fatto tanto per la città.” No. A Crotone non è stato fatto tanto. Sono state fatte solo omissioni, e ogni problema si è aggravato fino a diventare una ferita aperta. L’accordo con Eni: dal “nemico” all’alleato. In campagna elettorale, Voce si era presentato come il nemico giurato dell’Eni. Prometteva dignità, difesa del territorio, riscatto ambientale. Eppure, appena eletto, il primo atto concreto è stato un accordo proprio con l’Eni. Arrivano così 18 milioni di euro nelle casse comunali: ossigeno politico immediato, ma al prezzo di un benessere effimero, costruito su opere di poco conto, spettacoli e serate mentre la città continua a respirare veleno. Crotone balla, ma muore lentamente. E se qualcosa si è mosso sul fronte ambientale, non è stato grazie al sindaco, ma ai comitati cittadini, a chi lotta senza passerelle né ritorni d’immagine. Giammiglione, rigassificatore, parchi eolici: battaglie combattute da soli.

La discarica di Giammiglione è stata scongiurata grazie alle nostre battaglie e a una mozione che ho portato e fatto approvare in Consiglio comunale. Il rigassificatore è tornato al centro del dibattito solo grazie al nostro intervento, con una mozione che ha portato a un voto chiaro contro. E sui parchi eolici, questa amministrazione ha consentito l’ampliamento verso il Papaniciaro e perfino il progetto del parco offshore: anche lì, abbiamo dovuto batterci da soli per difendere il territorio e il mare crotonese. Bonifica e salute: una farsa ai danni dei cittadini. Sulla bonifica, l’Eni conduce una finta operazione, senza trasparenza né garanzie per la salute pubblica. Dopo cinque anni, nulla di concreto. Nel frattempo, i dati sanitari peggiorano, ma il sindaco tace, come se nulla stesse accadendo. Distretto energetico e rifiuti: silenzi e complicità. Negli ultimi anni, gli smaltimenti industriali sono aumentati. Abbiamo chiesto un Consiglio comunale aperto ai cittadini e ci siamo battuti, ma alla fine A2A ha ottenuto l’ampliamento, con la complicità della Provincia e del suo Presidente alleato. Nel silenzio generale, Crotone è diventata terra di scarico. Persino la mia proposta di legge per tutelare il territorio crotonese è stata bocciata da questa amministrazione. Un altro tradimento verso i cittadini. Emergenza idrica: un disastro annunciato.Reti idriche vecchie di quasi un secolo, quartieri senz’acqua e nessun piano concreto. Eppure una possibilità c’era: utilizzare parte dei fondi Eni per ripristinare i serbatoi di San Giorgio, indispensabili per garantire un approvvigionamento stabile. Una delibera lo prevedeva, ma la giunta Voce, la stessa che l'aveva deliberata, l’ha revocata. E la mozione che abbiamo presentato in Consiglio è stata bocciata dalla sua nuova maggioranza.

E allora mi chiedo: nostalgia di cosa, esattamente? Di un sindaco che promette e poi si smentisce? Di un’amministrazione che cancella invece di costruire? Forse sì: è la nostalgia di farsi del male da soli. Voce non doveva ritirare le dimissioni perché ha tradito i suoi principi, i suoi elettori e perfino se stesso. Crotone merita una guida, non un comandante. Merita coraggio, non convenienza. Merita verità, non compromessi.

domenica 2 novembre 2025

LA TRAGEDIA DI DONNA PEPPA E DEL FIGLIO PUGNALATO AL CUORE

 

Una storia accaduta un secolo fa 

Quella che racconto oggi è una storia vera, accaduta circa un secolo fa a Scandale (KR) dove fino a poco tempo fa ancora si tramanda un antico detto, usato come malaugurio verso chi si macchiava di cattive azioni:

«Chi vò murìri cuami u fijjiu i donna Peppa» – “Che tu possa morire come il figlio di donna Peppa”. 

Dietro queste parole, tramandate di generazione in generazione, si cela una tragedia tanto dolorosa quanto umana, che parla di miseria, orgoglio e soprattutto di un amore sconfinato: quello di una madre per il proprio figlio. La storia l’ho appena terminata di ricostruire questa sera, ma i nomi e i personaggi mi sono stati forniti con pazienza e passione dall’ex ufficiale dell’anagrafe di Scandale, Nicola Carvelli, mio cugino, che, attraverso documenti e testimonianze d’epoca, riuscì a risalire ai veri protagonisti di quel dramma, realmente vissuti agli inizi del Novecento.

Donna Peppa Contestabile, il cui nome completo era Giuseppina Contestabile, portava un titolo che un tempo apparteneva alle famiglie aristocratiche: quel “donna” che evocava nobiltà e rispetto. Ma di quella nobiltà lei non possedeva che il nome, perché la vita l’aveva privata di tutto. Non aveva marito, non aveva ricchezze, solo un figlio nato da padre sconosciuto. Quel figlio si chiamava Antonio Salvatore Contestabile. Essendo il padre ignoto, portava il cognome della madre. Per donna Peppa, Antonio era tutto ciò che aveva.

Antonio era un giovane alto, forte, dal carattere fiero. A Scandale incuteva timore e rispetto: pochi osavano contraddirlo. Forse per orgoglio, forse per gioventù, amava scherzare, talvolta anche con troppa durezza. E fu proprio questo a segnare il suo destino. Un giorno prese di mira un povero pastore del paese, un ragazzo umile ma dal cuore puro, innamorato di una giovane donna che, si diceva, non fosse indifferente nemmeno ad Antonio. Da lì nacque una rivalità silenziosa, un rancore che covava sotto la cenere.

Fu così che, in un pomeriggio d’estate, all’ingresso di Via Garibaldi a Scandale, tra la casa di Luigi De Biase e la vecchia bottega di "Micu i Carru", il destino tese la sua mano crudele. Antonio, con i soliti toni beffardi, schernì ancora una volta il pastore davanti ad altri due compaesani, nobili del paese che, si dice, lo avevano aizzato. L’altro, accecato dall’ira e dall’umiliazione, estrasse un pugnale e, in un solo, terribile gesto, glielo conficcò nel petto. Antonio Salvatore cadde a terra senza un grido. Il suo corpo, imponente e forte, divenne improvvisamente fragile e inerme.

Quando la notizia raggiunse donna Peppa, un urlo squarciò il silenzio del paese. Si dice che corse subito fino al luogo del delitto, che abbracciò il corpo del figlio e non volle più lasciarlo andare. Si racconta anche che, in preda alla follia del dolore, avvicinò le labbra alla ferita del figlio e ne succhiò il sangue, come per voler trattenere in sé la vita che stava svanendo.

E così, di madre in figlio, di generazione in generazione, a Scandale rimase vivo quel detto:

«Chi vò murìri cuami u fijjiu i donna Peppa»,

non come semplice malaugurio, ma come monito e ricordo di una tragedia che nessuna madre dovrebbe mai vivere.

mercoledì 22 ottobre 2025

PISCINA OLIMPIONICA CROTONE, IL COMUNE NAUFRAGA DEFINITIVAMENTE.

 

Se Crotone può ancora sperare di formare nuovi campioni nel nuoto, di certo non sarà grazie all’amministrazione comunale. Anzi, sulla vicenda legata alla piscina olimpionica, il Comune ne esce sconfitto su tutti i fronti, dimostrando una totale assenza di capacità politica, gestionale e visione strategica.

Le parole amare su un comunicato stampa di ieri della Kroton Nuoto lo confermano: i problemi non solo non vengono risolti, ma vengono aggravati da un atteggiamento passivo da parte di chi dovrebbe rappresentare legalità, equità e buon senso. È emblematico che il Sindaco comunichi il fallimento del tentativo di mediazione, avviato il 7 ottobre, con un semplice messaggio WhatsApp. Un tentativo nato con l’obiettivo di permettere ai ragazzi della Kroton Nuoto di tornare ad allenarsi nell’impianto comunale, naufragato per le "valutazioni legali" di una delle parti coinvolte, senza che l’altra fosse nemmeno informata. Il Comune, proprietario della struttura, è rimasto a guardare per mesi il conflitto tra le due società gestrici, lasciando che degenerasse in una guerra senza fine. Nessun intervento autorevole, nessuna mediazione efficace, solo silenzi, rinvii e scaricabarile.

La Kroton Nuoto, una realtà importante dello sport crotonese, è stata mollata, lasciata sola, costretta a portare i propri atleti a Catanzaro pur di garantire continuità agli allenamenti. Ragazzi crotonesi esclusi di fatto da un impianto pubblico che avrebbero pieno diritto di utilizzare. Una ferita per la città, una vergogna istituzionale. Se un’amministrazione non è in grado di garantire la convivenza e il rispetto delle regole tra due realtà sportive che condividono una struttura comunale, come può affrontare questioni più complesse che richiedono visione, responsabilità e coraggio?

Oggi Crotone è ostaggio dell’immobilismo. Di un’amministrazione che, invece di costruire coesione, alimenta divisioni. Che, invece di tutelare i cittadini, soprattutto i più giovani, li spinge a cercare fuori ciò che dovrebbe essere garantito dentro la propria città.

Una città che vuole crescere non può permettersi di perdere i suoi talenti per colpa della burocrazia, dell’inefficenza, della totale indifferenza.

lunedì 20 ottobre 2025

OGGI È IL CENTENARIO DI PAPÀ. IL BREVE RICORDO DI UN UOMO DI ALTRI TEMPI




Oggi mio padre avrebbe compiuto 100 anni. Non sono solito fare commemorazioni sui social, ma oggi sento il bisogno di fermarmi e ricordare. Per lui. Per mio padre, Ippolito. Un uomo laborioso, instancabile, fedele alla sua famiglia. Un padre che ha generato ben 15 figli,  due bimbe volate via troppo presto, un aborto gemellare… alla fine siamo rimasti in undici. La sua esistenza fu segnata anche da un dolore profondo: la perdita improvvisa di un figlio di appena 25 anni, Fedele, uno dei primi impiegati della locale Cassa Rurale. Dopo la dipartita dei genitori ci vennero a mancare la prima e l'ultima delle figlie, Rosa e  Fiorella. Una famiglia numerosa, cresciuta con fatica ma anche con tanta dignità, anche grazie all’immenso sostegno di mia madre.

Loro non conoscevano vacanze, né riposo. La vita era un dono di Dio, e allo stesso tempo, la loro esistenza era un’offerta quotidiana, fatta di sacrificio e amore. Mia madre, donna profondamente cattolica, era una testimone viva della fede. Mio padre, invece, era un credente a modo suo: per lungo tempo legato agli ideali di un comunismo puro, anticlericale come molti contadini dell’epoca. Ma credeva. E proprio attraverso le sue labbra, un giorno, il Signore mi parlò. Perché Dio sa scegliere le vie più misteriose per richiamare a sé i propri figli. Non sempre servono parole: spesso basta l’esempio. 

E mio padre, con il sudore del suo lavoro, con la sua dedizione, con la forza silenziosa che lo accompagnava, è stato un testimone autentico. Un tempo, fare i genitori significava molto più che crescere ed educare i figli. Bisognava pensare anche al loro futuro, al matrimonio, alla sistemazione, soprattutto delle figlie. C’era da preparare il corredo, da arredare la casa… E in una famiglia come la nostra, con cinque maschi e ben sei femmine, il lavoro non finiva mai. Ma lui non si lamentava. Si alzava ogni giorno alle cinque del mattino. Il rombo del suo trattore, uno dei quali ancora oggi cammina,  rompeva il silenzio dell’alba.

Poi si metteva in marcia verso il suo amato podere: "Faragone- Latina". Lì cominciava la sua vera giornata: fatta di fatica, di sudore, di sacrificio quotidiano. Solo una breve pausa a mezzogiorno, giusto il tempo di consumare 'a spisa, il pranzo semplice preparato da mia madre. Di solito "pipi e patati", il cui profumo ci arrivava fin dentro il letto nelle prime ore del mattino. Poi, di nuovo al lavoro, fino alle cinque del pomeriggio, ma anche più tardi. Quasi al tramonto riprendeva la via del ritorno con il suo trattore, un viaggio di almeno tre quarti d’ora. Arrivava stanco, certo, ma col sorriso. E noi, puntuali, ad attenderlo. Perché portava con sé i frutti della terra. I prodotti più abbondanti li lasciava in magazzino, ma quelli più prelibati li portava a casa, dentro "u panaru".

E allora, tutti intorno a sbirciare nel cesto: secondo la stagione c’erano fichi fioroni, nespole, albicocche, uva… Una festa di colori, di profumi, di sapori. Era la nostra ricompensa. E il suo modo silenzioso di amarci, ogni singolo giorno. È difficile raccontare tutta la sua vita, potrei scrivere libri,  ma oggi basta per ricordare un uomo, un uomo di altri tempi. E, nel centenario della sua nascita, voglio ancora dire: grazie, papà.

domenica 19 ottobre 2025

11° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI GINO SCALISE. UOMO SANTO

Una vita donata, una fede vissuta, un’eredità che ancora parla. Oggi ricorre l’undicesimo anniversario della morte di #GinoScalse, figura indimenticabile per la nostra comunità e per quanti hanno avuto la grazia di incrociare il suo cammino. Presidente diocesano dell’Azione Cattolica per lunghi anni, insignito anche dell’onorificenza vaticana di "#CavalieredelPapa", sindaco del nostro paese dal 1979 al 1983, Gino è stato molto più di un amministratore o di un dirigente ecclesiale.

È stato un uomo giusto, un servo buono e fedele, che ha fatto della propria vita un’offerta continua a Dio e agli altri. La sua esistenza è stata un apostolato quotidiano, semplice e silenzioso, vissuto tra le vie del paese, nelle case della gente, nelle chiese e nei luoghi di incontro. Il Vangelo era la sua bussola, l’amore il suo linguaggio. Gino non ha mai trattenuto nulla per sé, ma si è spogliato di tutto, anche di ciò che era poco, per metterlo nelle mani di chi aveva bisogno. Se è vero che "c'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35), Gino ne è stato testimone radicale: ha dato beni materiali, ma ha dato anche sorrisi, parole di conforto, ascolto e speranza.

La sua casa era aperta a tutti: un focolare vivo, una mensa di fraternità, un porto sicuro per gli smarriti, una fonte zampillante dove chiunque poteva abbeverarsi. Chi entrava da lui, usciva diverso: più sereno, più forte, più credente nella vita. La sua figura è stata giustamente ricordata da in tante occasioni, da mio zio, Iginio Carvelli, che ne ha raccolto testimonianze nei suoi scritti, libri e in diverse manifestazioni pubbliche. E anche durante il mio mandato da sindaco, ho collaborato con lui per tenere viva la memoria di questo piccolo grande uomo, attraverso convegni, incontri, e momenti di riflessione collettiva.

Come il buon samaritano, Gino si è chinato sulle ferite del suo prossimo, senza fare distinzioni, con la sola forza della carità e della fede. Come San Paolo, ha combattuto la buona battaglia, ha conservato la fede, lasciandoci in eredità non solo un ricordo, ma un cammino da proseguire. Che il suo esempio continui a ispirare le nuove generazioni, affinché non smettano mai di credere che la politica può essere servizio, la fede può essere vissuta nella vita quotidiana, e l’amore gratuito è il vero volto di Dio.

mercoledì 15 ottobre 2025

IL LICEO CLASSICO "PITAGORA" DI CROTONE RESTITUITO AL SUO SPLENDORE

 


Dopo un lungo periodo, il Liceo Classico "Pitagora" di Crotone è stato finalmente restituito agli studenti, ai docenti e a tutto il personale nella sua rinnovata bellezza. Per troppo tempo l’edificio era rimasto ingabbiato dai ponteggi, ma oggi si presenta nuovamente all’altezza del prestigio che da sempre lo contraddistingue. La riqualificazione è stata resa possibile grazie ai fondi del PNRR, che la Provincia di Crotone ha intercettato. L’intervento ha riguardato la messa in sicurezza e l’efficientamento energetico della struttura, restituendo alla città un edificio, funzionale e sostenibile.

Nella terra che Pitagora ha iniziato la propria scuol, non poteva permanere a lungo un’istituzione culturale in condizioni non adeguate. Il nuovo volto del liceo è un segnale concreto di attenzione verso la formazione e il futuro dei giovani. L’auspicio è che il Liceo Classico "Pitagora" possa tornare a essere un punto di riferimento per la formazione umanistica, capace di attrarre studenti motivati e di prepararli con rigore e serietà ai percorsi universitari più impegnativi, così come ha fatto per generazioni.