Una storia accaduta un secolo fa
Quella che racconto oggi è una storia vera, accaduta circa un secolo fa a Scandale (KR) dove fino a poco tempo fa ancora si tramanda un antico detto, usato come malaugurio verso chi si macchiava di cattive azioni:
«Chi vò murìri cuami u fijjiu i donna Peppa» – “Che tu possa morire come il figlio di donna Peppa”.
Dietro queste parole, tramandate di generazione in generazione, si cela una tragedia tanto dolorosa quanto umana, che parla di miseria, orgoglio e soprattutto di un amore sconfinato: quello di una madre per il proprio figlio. La storia l’ho appena terminata di ricostruire questa sera, ma i nomi e i personaggi mi sono stati forniti con pazienza e passione dall’ex ufficiale dell’anagrafe di Scandale, Nicola Carvelli, mio cugino, che, attraverso documenti e testimonianze d’epoca, riuscì a risalire ai veri protagonisti di quel dramma, realmente vissuti agli inizi del Novecento.
Donna Peppa Contestabile, il cui nome completo era Giuseppina Contestabile, portava un titolo che un tempo apparteneva alle famiglie aristocratiche: quel “donna” che evocava nobiltà e rispetto. Ma di quella nobiltà lei non possedeva che il nome, perché la vita l’aveva privata di tutto. Non aveva marito, non aveva ricchezze, solo un figlio nato da padre sconosciuto. Quel figlio si chiamava Antonio Salvatore Contestabile. Essendo il padre ignoto, portava il cognome della madre. Per donna Peppa, Antonio era tutto ciò che aveva.
Antonio era un giovane alto, forte, dal carattere fiero. A Scandale incuteva timore e rispetto: pochi osavano contraddirlo. Forse per orgoglio, forse per gioventù, amava scherzare, talvolta anche con troppa durezza. E fu proprio questo a segnare il suo destino. Un giorno prese di mira un povero pastore del paese, un ragazzo umile ma dal cuore puro, innamorato di una giovane donna che, si diceva, non fosse indifferente nemmeno ad Antonio. Da lì nacque una rivalità silenziosa, un rancore che covava sotto la cenere.
Fu così che, in un pomeriggio d’estate, all’ingresso di Via Garibaldi a Scandale, tra la casa di Luigi De Biase e la vecchia bottega di "Micu i Carru", il destino tese la sua mano crudele. Antonio, con i soliti toni beffardi, schernì ancora una volta il pastore davanti ad altri due compaesani, nobili del paese che, si dice, lo avevano aizzato. L’altro, accecato dall’ira e dall’umiliazione, estrasse un pugnale e, in un solo, terribile gesto, glielo conficcò nel petto. Antonio Salvatore cadde a terra senza un grido. Il suo corpo, imponente e forte, divenne improvvisamente fragile e inerme.
Quando la notizia raggiunse donna Peppa, un urlo squarciò il silenzio del paese. Si dice che corse subito fino al luogo del delitto, che abbracciò il corpo del figlio e non volle più lasciarlo andare. Si racconta anche che, in preda alla follia del dolore, avvicinò le labbra alla ferita del figlio e ne succhiò il sangue, come per voler trattenere in sé la vita che stava svanendo.
E così, di madre in figlio, di generazione in generazione, a Scandale rimase vivo quel detto:
«Chi vò murìri cuami u fijjiu i donna Peppa»,
non come semplice malaugurio, ma come monito e ricordo di una tragedia che nessuna madre dovrebbe mai vivere.

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