Loro non conoscevano vacanze, né riposo. La vita era un dono di Dio, e allo stesso tempo, la loro esistenza era un’offerta quotidiana, fatta di sacrificio e amore. Mia madre, donna profondamente cattolica, era una testimone viva della fede. Mio padre, invece, era un credente a modo suo: per lungo tempo legato agli ideali di un comunismo puro, anticlericale come molti contadini dell’epoca. Ma credeva. E proprio attraverso le sue labbra, un giorno, il Signore mi parlò. Perché Dio sa scegliere le vie più misteriose per richiamare a sé i propri figli. Non sempre servono parole: spesso basta l’esempio.
E mio padre, con il sudore del suo lavoro, con la sua dedizione, con la forza silenziosa che lo accompagnava, è stato un testimone autentico. Un tempo, fare i genitori significava molto più che crescere ed educare i figli. Bisognava pensare anche al loro futuro, al matrimonio, alla sistemazione, soprattutto delle figlie. C’era da preparare il corredo, da arredare la casa… E in una famiglia come la nostra, con cinque maschi e ben sei femmine, il lavoro non finiva mai. Ma lui non si lamentava. Si alzava ogni giorno alle cinque del mattino. Il rombo del suo trattore, uno dei quali ancora oggi cammina, rompeva il silenzio dell’alba.
Poi si metteva in marcia verso il suo amato podere: "Faragone- Latina". Lì cominciava la sua vera giornata: fatta di fatica, di sudore, di sacrificio quotidiano. Solo una breve pausa a mezzogiorno, giusto il tempo di consumare 'a spisa, il pranzo semplice preparato da mia madre. Di solito "pipi e patati", il cui profumo ci arrivava fin dentro il letto nelle prime ore del mattino. Poi, di nuovo al lavoro, fino alle cinque del pomeriggio, ma anche più tardi. Quasi al tramonto riprendeva la via del ritorno con il suo trattore, un viaggio di almeno tre quarti d’ora. Arrivava stanco, certo, ma col sorriso. E noi, puntuali, ad attenderlo. Perché portava con sé i frutti della terra. I prodotti più abbondanti li lasciava in magazzino, ma quelli più prelibati li portava a casa, dentro "u panaru".
E allora, tutti intorno a sbirciare nel cesto: secondo la stagione c’erano fichi fioroni, nespole, albicocche, uva… Una festa di colori, di profumi, di sapori. Era la nostra ricompensa. E il suo modo silenzioso di amarci, ogni singolo giorno. È difficile raccontare tutta la sua vita, potrei scrivere libri, ma oggi basta per ricordare un uomo, un uomo di altri tempi. E, nel centenario della sua nascita, voglio ancora dire: grazie, papà.
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