Le famiglie, numerose e unite, si preparavano per la grande festa del maiale, un giorno di raccoglimento e gratitudine. La conservazione dei prodotti suini era fondamentale per affrontare l'inverno; una famiglia contava in media sette, otto, fino a dieci membri. Ma la vera attesa, quella che scaldava il cuore, era legata alla raccolta: “a ricòta”. Era il momento in cui il contadino chiudeva i conti con la vita, estinguendo debiti e celebrando il duro lavoro.
In ogni angolo, l’attesa era un filo che univa i giorni, conferendo valore al presente e al futuro. Si contavano le settimane, i giorni, gli istanti. L’ultima settimana era la più dolce: “Oiji e ottu” diventava il mantra che anticipava feste e celebrazioni. A Scandale, si ripeteva: “Oiji e ottu è ra festa i Cundoliu”, mentre per i contadini il momento culminante era la macellazione: “Oiji e ottu e ammazzamu lu porcu”.
A giugno, i creditori tornavano da chi doveva loro denaro, presentando il conto. Ma i contadini, con prontezza, rispondevano: “Vi pagamu a ricòta”, ovvero dopo la raccolta di frumento e cereali, quando i granai si riempivano.
Così, la vita scorreva frenetica, tra problemi e difficoltà, ma affrontate con gioia e attese cariche di speranza.
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